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BIANCANEVE e il CACCIATORE
(U.S.A. 2012) di Rupert Sanders |
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Dopo innumerevoli versioni con attori in carne e ossa, che tentavano goffamente di ricreare la magia del lungometraggio animato prodotto da Walt Disney nel lontanissimo 1937 (se si esclude la versione horror del 1997 titolata Biancaneve nella Foresta Nera con Sigourney Weaver e Sam Neill); parallelamente al coevo adattamento in salsa rosa-musical di Tarsem Dhandwar Singh - con Julia Roberts nei panni della perfida Regina Grimilde, Lily Collins in quelli di Biancaneve e Armie Hammer nel ruolo del Principe - Rupert Sanders riprende la sceneggiatura di Evan Daugherty, dimenticando quasi interamente la versione Disney per recuperare atmosfere più dark e sinistre dalle trascrizioni del folklore popolare, elaborate nel 1812 dai Fratelli Grimm. Sanders con i suoi sceneggiatori intesse una trama avvincente da cui si dipanano ulteriori varianti: la sposa del re in seconde nozze assume le seducenti sembianze di Charlize Theron (vera regina anche del film)
che prende il nome evocativo di Ravenna (da raven, in inglese corvo, vero Leitmotiv della pellicola che presagisce imminenti sciagure); l'approfondimento psicologico della regina è l'aspetto che forse più di tutti contraddistingue la pellicola di Sanders dalle precedenti versioni: l'ossessione di Ravenna per la bellezza assume connotazioni sociali e politiche e affonda le radici nell'infanzia tormentata, segnata dal perfido sortilegio attuato dalla stessa madre prima che la bimba fosse strappata per sempre dalle sue braccia.
La bellezza diviene arma di potere con cui Ravenna riesce a dominare gli uomini in un mondo a lei da sempre ostile: il suo odio nasce dalla rabbia di essere stata tradita, usata e ferita da tutti gli uomini in cui si è imbattuta e assume connotati di rivalsa umana, politica e sociale. Le due potentissime figure femminili contrapposte (Ravenna e Biancaneve) sono legate da un sottile filo invisibile che al contempo le accomuna e le respinge. Entrambe sono nate da un sortilegio, ma mentre per Ravenna il vaticinio materno è improntato al Male, che la spinge a perseguire l'obiettivo incurante del sacrificio di vite umane da cui risucchia la linfa,
per Biancaneve la profezia nasce dal desiderio materno di dare alla luce una creatura d'innata purezza, ispirata ai modelli della Terra, della Natura e del Ciclo vitale.
La Biancaneve di Daugherty/Sanders rispecchia in chiave femminile le doti di coraggio e lealtà cavalleresca degne di Artù. Non a caso in più passaggi si allude alla sua predestinazione a salvare l'umanità (come per Artù da Morgana e Mordred) dall'aura mefitica di Ravenna che annienta qualsiasi forma di vita, distrugge il mondo e crea il Nulla (anche in questo caso Sanders paga pegno alla preziosa lezione de La Storia Infinita di Michael Ende).
e diviene maestro di vita di Biancaneve lungo un tormentato percorso formativo (emblematico il passaggio nella Foresta Oscura, che «prende forza dalla debolezza di chi l'attraversa» come sottolinea il cacciatore/mentore;
il principe al contrario perde vigore e viene declassato a 'figlio del Duca', tenero amico d'infanzia di Biancaneve;
i sette (o meglio: otto) nani
vengono risolti in chiave comico-farsesca per alleggerire il ritmo del racconto
e diventano spunto narrativo per sottolineare la missione salvifica cui Biancaneve
appare destinata: anche questi personaggi (incarnati da importanti attori britannici,
tra cui Ian McShane, Bob Hoskins e Ray Winstone, rimpiccioliti con tecniche raffinate
sull'esempio di Peter Jackson per
la Saga dell'Anello e Lo Hobbit) pur
ricalcando a grandi linee le caratteristiche dei nani disneyani acquistano
spessore umano e psicologico. Anch'essi hanno una storia, un passato, un vissuto,
avendo dovuto abbandonare il mestiere di minatori per essere relegati nello scomodo ruolo
di fuorilegge, solo perché difformi dai canoni di bellezza imposti da Ravenna nella
sua spietata missione distruttrice. Durante il percorso formativo che ridesta nei nani
la dignità sopita traspare per un attimo il lato luminoso della Foresta, tra
uccellini di disneyana memoria, elfi e fatine, cervi bianchi che rimandano alla
figura di Re Aslan delle Cronache di Narnia; poi
l'intreccio riprende a svolgersi attraverso stilemi di matrice tolkieniana, su impronte fantasy/action
contaminate da venature horror.
la Foresta Oscura rimanda al desolato Regno di Mordor, ma anche all'Impero del Nulla del già citato Michael Ende.
che ne decreta l'ascesa per poi predirne la dannazione eterna in un mondo decadente tra ombre sempre più oscure di narcisismo, speculazione e culto dell'apparenza: Biancaneve invece è destinata a sopravvivere perché la vera bellezza le viene da dentro, affiora sotto forma di umanità dal profondo del suo animo, persino nel prevedibile e inevitabile conflitto finale.
Entrambe le attrici delineano con grande partecipazione l'interiorità dei rispettivi personaggi:
la fiera determinazione di Kristen Stewart si misura con la ferocia negli occhi velati di disperato terrore di una grande Charlize Theron.
A dispetto della dichiarazione di Rupert Sanders, per cui il film rappresenta «una parabola illuminante sulla natura umana che ci insegna il giusto comportamento, non un semplice blockbuster d'azione» tutto pare già pronto per il sequel, la qual cosa non depone a favore del regista britannico: spero comunque di sbagliarmi. |
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©® Annalisa
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